lunedì 12 giugno 2017

Mar Glauco

Il Mar Glauco (Coll. Dennis Farrar via www.gooleships.co.uk)

Piroscafo da carico da 4690 tsl e 2964 tsn, lungo 116 metri, largo 15,6 e pescante 7,7, con velocità di 8-8,5 nodi. Appartenente all’armatore Mariano Mareca & C. di Genova, ed iscritto con matricola 1224 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

13 febbraio 1906
Varato nel cantiere Pallion Yard della William Doxford & Sons Ltd. come Drumcondra (numero di cantiere 355).
Marzo 1906
Completato come Drumcondra per la Astral Shipping Company Ltd. di Liverpool, che è il suo primo porto di registrazione. In gestione a Joseph Chadwick & Son Ltd.
Si tratta di una nave di tipo «turret deck». Tali bastimenti erano caratterizzati da uno scafo dalla forma inusuale, con fianchi arrotondati e ricurvi verso l’interno al di sopra della linea di galleggiamento: tale struttura, oltre a risultare più robusta, era pensata soprattutto per ridurre la stazza netta (cioè il volume) della nave, così da pagare "pedaggi" più bassi nell’attraversamento del Canale di Suez. Il "pedaggio" di ogni nave, infatti, era stabilito in base alla sua stazza netta: la nave di tipo «turret deck» aveva una stazza netta più ridotta a parità di portata lorda effettiva, e parte degli spazi di carico non erano considerati nel metodo di calcolo allora in uso per stabilire la tariffa per l’attraversamento del Canale di Suez (il metodo fu cambiato nel 1911, vanificando l’espediente delle «turret deck ships», che cessarono così di essere costruite).
Stazza lorda e netta originarie sono 4691 tsl e 2964 o 2971 tsn.
1913
Acquistato dalla L. Possehl & Co. di Lubecca e ribattezzato Lübeck.
Luglio 1914
Proprio mentre sta per scoppiare la prima guerra mondiale,  il Lübeck s’incaglia a Tranøy (Hamarøy, Norvegia), dove si è recato per imbarcare un pilota prima di proseguire per Narvik (Norvegia) e caricarvi minerale di ferro.
Disincagliato, ritorna in Germania.


Due immagini del Lübeck incagliato a Tranøy nel luglio 1914 (da www.jekte-og-jaktfart.origo.no)



1915
Acquistato dalla Nordisches Erzkontor G.m.b.H. di Stettino.
1919
A seguito della sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale, il Lübeck, come molte altre navi tedesche, viene consegnato alle autorità britanniche a titolo di riparazione dei danni di guerra. Lo Shipping Controller (agenzia governativa britannica incaricata della gestione del naviglio mercantile in tempo di guerra), suo nuovo proprietario, lo affida alla Turner, Brightman & Co. di Londra.
1921
Acquistato dalla Calvert Steam Ship Company Ltd. (armatore J. S. Calvert) di Goole, Yorkshire, e ribattezzato S. E. Calvert.

Il S. E. Calvert sotto carico (Coll. Dennis Farrar via www.gooleships.co.uk)

1923
Acquistato dalla Ditta Luigi Pittaluga Vapori, con sede a Genova.
1924
Ribattezzato Aquitania (per altra fonte anche l’acquisto da parte della ditta Pittaluga sarebbe avvenuto nel 1924).
1927
Acquistato dall’armatore Mariano Maresca & C. di Genova e ribattezzato Mar Glauco.
 
Un’altra immagine della nave sotto il nome di S. E. Calvert (Coll. Clive Kettley via www.gooleships.co.uk)

Dall’internamento alla… discarica

All’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, il Mar Glauco era nel numero delle tante navi mercantili italiane – oltre duecento – che si trovavano lontanissime dalla madrepatria: il piroscafo era nelle acque degli allora neutrali Stati Uniti, e fu così costretto a rifugiarsi nel porto di Norfolk, in Virginia. L’8 agosto 1940, previa autorizzazione delle autorità statunitensi, il Mar Glauco lasciò Norfolk e si trasferì a Philadelphia, in Pennsylvania.
Qui rimase internato, come nave mercantile di Paese belligerante in un porto neutrale, in condizioni di semi-disarmo. Non era solo: a Philadelphia, insieme al Mar Glauco, si trovavano internati anche i piroscafi italiani Antonietta, Santa Rosa e Belvedere. Tutti e quattro erano ormeggiati nel fiume Delaware, tra Philadelphia (Pennsylvania) e Gloucester City (New Jersey).
L’internamento del Mar Glauco durò per poco più di nove mesi, perché il 30 marzo 1941 le autorità statunitensi, sebbene tale Paese fosse ancora neutrale, disposero la confisca di tutte le navi di Paesi membri dell’Asse (od ad essa assoggettati, come la Danimarca) che si trovavano nei porti degli Stati Uniti. La scusa fu che gli equipaggi italiani e tedeschi avessero iniziato a sabotare i bastimenti, e che l’intervento militare statunitense fosse necessario per fermarli, in esecuzione delle norme dell’Espionage Act del 1917.
In effetti gli equipaggi delle navi dell’Asse avevano davvero iniziato a sabotare le loro navi: ciò in obbedienza ad una direttiva impartita dall’ammiraglio Alberto Lais, addetto navale italiano negli Stati Uniti, che già nel gennaio 1941 era venuto a conoscenza dei piani statunitensi per impadronirsi dei mercantili italiani presenti nei porti del Paese ed utilizzarli, con bandiera statunitense, per trasportare materiale bellico dall’America al Regno Unito (od anche, secondo un’altra versione, per consegnarli al Regno Unito, che aveva disperatamente bisogno di navi mercantili, visto il crescendo delle perdite inflitte dagli U-Boote tedeschi). All’inizio del marzo 1941 l’ammiraglio Lais aveva esposto le intenzioni del Dipartimento della Difesa statunitense circa il naviglio italiano in una riunione indetta dall’ambasciatore italiano negli USA, Ascanio Colonna. Ottenute da Roma le necessarie autorizzazioni, Lais aveva allora predisposto un piano per rendere le navi inutilizzabili (per un lungo periodo di tempo) prima della cattura, senza che le autorità statunitensi se ne accorgessero; il lavoro di distruzione si sarebbe concentrato esclusivamente sugli apparati motori, da rendere inservibili nel modo più silenzioso possibile (quindi rinunciando all’uso di esplosivi), mediante la fiamma ossidrica. Gli ordini precisavano che le navi non dovevano in alcun caso essere incendiate od affondate, per evitare di recare danno alle strutture portuali od ai cittadini statunitensi, non essendovi uno stato di guerra tra le due nazioni: l’opera di distruzione doveva essere esclusivamente “interna”.
Ciò che seguì, il primo caso di uso della forza militare da parte statunitense nella seconda guerra mondiale, portò alla cattura di 296.615 tsl di naviglio, tra navi italiane (28), tedesche (due) e danesi (35).
Fu questa anche la sorte del Mar Glauco, che venne catturato a Philadelphia, insieme ad Antonietta, Santa Rosa e Belvedere, da uomini della United States Coast Guard e dell’United States Marine Corps. L’ordine di sequestro era stato dato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.
Una flottiglia di una dozzina di vedette della Guardia Costiera statunitense, fatte accorrere anche da Cape May nel New Jersey, imboccò il Delaware nella notte tra il 30 ed il 31 marzo e circondò i quattro bastimenti italiani, abbordandoli e puntando su di essi cannoncini e mitragliere; indi fu lanciato un attacco a sorpresa. Un totale di 150 tra Marines (con le baionette inastate sui fucili) e uomini della Guardia Costiera (armati con fucili automatici calibro 45) sciamarono a bordo del Mar Glauco e delle altre navi, e ne assunsero il controllo; le bandiere italiane furono ammainate e sostituite da quelle statunitensi.
Non vi fu resistenza da parte degli equipaggi italiani; né sarebbe potuto accadere diversamente, con marittimi civili disarmati contro militari armati fino ai denti. In tutto, 108 o 124 tra ufficiali e marinai italiani delle quattro navi vennero catturati e trasferiti nel centro di smistamento per gli immigrati (United States Immigration Detention Barrack) di Gloucester, nel New Jersey.

Una serie di mmagini della cattura del Mar Glauco tratte da un filmato dell’epoca sulla confisca del naviglio dell’Asse nei porti statunitensi (Getty Images):










Su 26 delle 28 navi italiane catturate, in adempienza degli ordini dell’ammiraglio Lais, gli equipaggi avevano fatto in tempo a sabotare le navi per evitare che cadessero intatte in mano statunitense, tanto che tutte e 26 le navi sabotate richiesero lunghi lavori di riparazione in cantiere prima di poter tornare in efficienza. Un articolo del "New York Times" dell’11 febbraio 1942 menzionò che molte delle navi catturate erano state sabotate tanto abilmente che era stato impossibile scoprire la vera entità dei danni inflitti fino a quando non erano uscite una prima volta in mare aperto («many of the seized German and Italian ships were so deftly sabotaged that it was impossible to discover all of the damage until they took a pounding at sea»).
Secondo il "Greensburg Daily News" del 31 marzo 1941, non vi era notizia di sabotaggi attuati sulle quattro navi italiane catturate a Philadelphia, ma il "Pittsburgh Press" dello stesso giorno, citando quanto riferito dal capitano di corvetta Lester E. Wells della U. S. Coast Guard, affermava invece che gli equipaggi di Mar Glauco, Antonietta, Santa Rosa e Belvedere avevano bruciato con cannelli acetilenici – apparentemente, poche ore prima della cattura – gli assi principali ed altre parti vitali degli apparati motori, così che le quattro navi risultavano inservibili per via dei danni alle macchine. Inoltre le caldaie erano state prese a mazzate, aprendo vari squarci, e gli impianti di refrigerazione erano stati messi fuori uso.
Secondo un articolo su un giornale locale, i marittimi italiani sembravano contenti di essere sbarcati, e furono compiaciuti quando nella Immigration Station venne loro servito un pasto cucinato secondo i dettami della cucina italiana. Sempre secondo tale articolo, ai marittimi venne lasciata piena libertà di movimento (gli Stati Uniti e l’Italia non erano ancora nemici), così che ebbero la possibilità di passeggiare per la città e fare amicizia con vari abitanti del posto.
In seguito, però, l’equipaggio del Mar Glauco sarebbe stato processato presso la corte distrettuale della Pennsylvania, per poi finire in un campo d’internamento, al pari di tutti i marittimi italiani negli Stati Uniti.
I rappresentanti diplomatici della Germania e dell’Italia inviarono immediatamente lettere di protesta al segretario di Stato americano Cordell Hull, denunciando l’illegalità della cattura delle navi, e pretendendo il loro rilascio; tali istanze vennero però respinte. Da parte statunitense si sostenne che il sabotaggio delle navi aveva messo in pericolo la sicurezza dei porti americani e la libertà di navigazione, e che pertanto la confisca era stata necessaria e giustificata dall’Espionage Act; per giunta, il sabotaggio di una nave da parte del suo equipaggio nelle acque degli Stati Uniti era considerato reato dalla legge statunitense, dunque non vi sarebbe stata alcuna illegalità nel confiscarle, ed anzi sarebbe stato preciso dovere delle autorità statunitensi impedire che gli equipaggi potessero recare ai bastimenti ulteriore danno.
L’ammiraglio Lais, ritenuto – a ragione – responsabile di aver ordinato il sabotaggio, venne dichiarato persona non gradita ed immediatamente espulso dagli Stati Uniti. Al momento di lasciare il Paese, Lais lamentò l’utilizzo della parola “sabotaggio” da parte della stampa statunitense, supportò l’affermazione (rilasciata da uno dei comandanti) che le navi erano state sabotate per evitare che venissero usate per trasportare nel Regno Unito bombe destinate ad essere usate contro l’Italia, e dichiarò che i comandanti dei bastimenti italiani avevano «semplicemente seguito quel giuramento di onore e dovere scritto nel 1813 sulla bandiera del vostro valoroso commodoro Perry con le splendide parole “Non abbandonare la nave”».

Il 14 luglio 1941 il procuratore degli Stati Uniti J. Barton Rettew, sulla base di ordini diramati dal presidente Franklin Delano Roosevelt, depositò una denuncia la corte distrettuale di Philadelphia, richiedendo che gli armatori (cui erano dati 20 giorni di tempo per rispondere alle accuse) di Mar Glauco (che in quel momento si trovava ormeggiato a Tacony, sobborgo di Philadelphia), Santa Rosa, Antonietta e Belvedere perdessero la proprietà delle loro navi, essendo queste state sabotate dai loro equipaggi, sulla base dell’Espionage Act del 1917. Già il 15 luglio, peraltro, agenti dell’ufficio dello United States Marshal presero formalmente possesso del Mar Glauco e delle altre tre navi.
Il 12 settembre 1941 il Mar Glauco venne formalmente requisito dal Governo statunitense ed affidato alla United States Maritime Commission. Ribattezzato Mokatam (altre fonti datano il cambio di nome al dicembre 1941, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti) e registrato, per ragioni di "praticità", sotto bandiera panamense, il piroscafo venne noleggiato alla Grace Line (cui fu consegnato a Philadelphia il 10 novembre 1941), che lo adibì al trasporto di nitrati dalla costa orientale dell’America meridionale. Le caratteristiche della nave, in servizio per gli Stati Uniti, risultavano: 4662 tsl, 2977 tsn e 7210 tpl.
Il 22 aprile 1943 il Mokatam fu trasferito (a Los Angeles) sotto il controllo dell’Esercito degli Stati Uniti, noleggiato "a scafo nudo" ("bareboat charter", cioè dato in noleggio senza equipaggio o dotazioni) come United States Army Transport (USAT) Mokatam; la bandiera, da panamese, divenne statunitense. Il piroscafo venne armato con alcune mitragliere contraeree da 12,7 mm (sistemate sulla plancia) e cannoncini da 75 mm (collocati a poppa, per difendersi dai sommergibili) ed impiegato come deposito galleggiante a Morotai, nelle Molucche (Indonesia). In precedenza, apparentemente, il Mokatam trasportò anche alcuni carichi di pistole Colt modello M1911 dal deposito della Marina statunitense (Naval Supply Depot, NSD) di San Pedro a quello di Oakland.
Probabilmente il piroscafo fu adibito a deposito galleggiante, anziché come trasporto militare, per via di una grave avaria di macchina che aveva subito nel dicembre 1943, durante la navigazione da San Francisco, che lo aveva costretto a farsi rimorchiare a Milne Bay, in Papua Nuova Guinea.
Dopo una lunga sosta in quella baia, il Mokatam venne preso a rimorchio dal rimorchiatore Arkansas Fall, che lo portò ad Oro Bay, dove – sempre a rimorchio – si unì ad un convoglio di una ventina di navi diretto a Finschafen, in Nuova Guinea. Il giorno seguente il Mokatam giunse a Dredger Harbour, a nove miglia da Finschafen, dove scaricò parte del proprio carico di materiali militari; poi si trasferì a Cape Gloucester (in Nuova Britannia), dove scaricò il resto del carico ed in particolare il prezioso gasolio in fusti, di cui necessitavano le forze statunitensi che, da poco sbarcate, avevano iniziato la battaglia per riconquistare Rabaul.
Dopo aver caricato altri fusti, il piroscafo lasciò Cape Gloucester (dove aveva sostato, in tutto, per 24 giorni) e ritornò, sempre a rimorchio, a Milne Bay.
Il 27 febbraio 1944 la nave venne danneggiata da un attacco aereo giapponese a Morotai; fu in seguito rimorchiata a Sydney e qui riparata.
A guerra finita, nel gennaio 1946, il Mokatam venne posto in disarmo a Newcastle, nel Nuovo Galles del Sud (Australia; da non confondersi con la più nota città britannica di Newcastle); vi rimase per tre anni (per altra fonte fu disarmato a Stockton, sempre nel Nuovo Galles del Sud).
Il Mokatam figurava tra le 14 navi ex italiane, catturate nel 1941, che l’Ordine Esecutivo 9935 del presidente statunitense Harry S. Truman (datato 16 marzo 1948) autorizzava a restituire al governo italiano; ciononostante, a differenza della maggior parte delle altre navi, questa nave non tornò mai in Italia. Ciò dipendeva probabilmente dalle condizioni pietose in cui ormai la nave versava, dopo quarant’anni di vita, un sabotaggio all’apparato motore ed un logorante servizio di guerra nel teatro del Pacifico: tanto che una nota del 1° gennaio 1947 riferiva che la nave, da tempo in disarmo a Newcastle, avrebbe potuto essere dichiarata «constructive total loss», termine con cui si designavano giuridicamente le navi ancora galleggianti, ma tanto danneggiate da risultare ormai inservibili ed irreparabili.

Rimasto a Stockton, nel 1949 il vecchio piroscafo venne venduto a R. Cunningham & H. Sutherland, i quali nel dicembre di quello stesso anno, insieme ad altri tre uomini, iniziarono lentamente a demolirne le sovrastrutture e la parte superiore dello scafo. La demolizione proseguì gradualmente fino al marzo 1950, quando il Mokatam venne rimorchiato in un’altra zona di Stockton ed ulteriormente demolito, fino a che non ne rimase il solo scafo "rasato" a 60 centimetri al di sopra della linea di galleggiamento.
Il 15 agosto 1950 i metalli da riciclare (destinati ad essere utilizzati per la produzione di attrezzi da costruzione) vennero estratti dallo scafo mediante  dei magneti, ed alle 9.30 del mattino del giorno seguente tre rimorchiatori del Dipartimento Lavori Pubblici rimorchiarono il guscio vuoto del Mokatam lungo il Platt’s Channel, parte del fiume Hunter (sempre nel Nuovo Galles del Sud), finché, giunti nel luogo prescelto per il suo ultimo riposo, ne spinsero lo scafo quanto più vicino possibile alla riva. Delle cime vennero poi tese tra lo scafo rugginoso dell’ex Mar Glauco e due gru mobili, che trascinarono la nave ancora più vicino alla riva, fin sopra ad un banco fangoso del Platt’s Channel.
Riempita un po’ per volta con scorie ferrose, la vecchia nave finì così con l’essere gradualmente interrata, diventando una paratia di contenimento per una discarica di scorie ferrose, fino a diventare essa stessa un nuovo "banco", scomparendo sepolta nel fango e nelle scorie. Con ogni probabilità, si trova laggiù ancor oggi.
 
La nave sotto l’originario nome di Drumcondra (da www.searlecanada.org)

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