domenica 14 settembre 2014

R 106 Onda

L’Onda durante la prima guerra mondiale, in servizio nella Regia Marina come vedetta-dragamine (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

Piropeschereccio da 97,89 tsl, appartenente all’armatore Nicola Delfino di Porto Torres, matricola 2148 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

1902 o 1903
Costruito ad Oslo (forse nei cantieri Akers Mek. Vaerksted) come baleniera norvegese Angola (nome iniziale non noto, poi cambiato in Angola), del dislocamento di 150 tonnellate.
27 agosto 1916
Acquistato dalla Regia Marina (come molte altre baleniere e piropescherecci acquistati dalla Marina italiana durante la prima guerra mondiale per essere impiegati come vedette e dragamine) ed incorporato nel naviglio militare, passando sotto bandiera italiana. Trasformato in vedetta-dragamine e ribattezzato Onda.
6 dicembre 1919
Radiato dai quadri del naviglio della Regia Marina e venduto all’armatore viareggino Pietro Larini. Trasformato in piropeschereccio.
Successivamente venduto all’armatore Nicola Delfino di Porto Torres.
12 maggio 1940
Requisito a Porto Torres dalla Regia Marina.
1° giugno 1940
Iscritto (alle 00.00 del 1° giugno) nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato come dragamine ausiliario, con caratteristica R 106. L’equipaggio viene militarizzato.

L’Onda a Porto Torres.
L’affondamento

Dopo aver prestato servizio per qualche tempo come dragamine in Mar Egeo, avendo base a Patrasso, l’Onda tornò in Sardegna e riprese ad operare come peschereccio anche per conto della Regia Marina, pescando per rifornire i militari del presidio nonché la popolazione stessa di Porto Torres e dei paesi vicini. Nelle ristrettezze della guerra, il pesce pescato a strascico dall’Onda, che batteva continuamente i fondali del golfo dell’Asinara, perennemente in mare come altri pescherecci, era una delle poche risorse disponibili per non patire la fame.
Ad inizio maggio 1943, durante una battuta di pesca nel Golfo dell’Asinara, l’Onda, in navigazione a quattro miglia da Fornelli, rallentò improvvisamente la propria andatura alle 9.45 (o 9.30) del mattino. Il macchinista Sergio Del Giudice chiamò il comandante del peschereccio, il ponzese Gennaro Sandolo, perché qualcosa di grosso – non un pesce – era finito nelle reti. Dopo alcuni secondi, i dieci membri dell’equipaggio videro un sommergibile emergere ad una cinquantina di metri dalla loro nave: il battello nemico aveva i timoni bloccati dalle reti che vi si erano impigliate, ma il comandante Sandolo, vedendo il suo armamento, decise di mollare le reti e tornare subito in porto. Fu Del Giudice stesso, che era il verricello, a sganciare le reti.
Al rientro in porto, l’equipaggio si recò a Cala Reale (sede del locale comando militare) e segnalò subito l’incontro avvenuto con l’unità nemica, ma non fu creduto: la Capitaneria di Porto (comandante del porto era il comandante Giuseppe Longo) ritenne che il suo equipaggio, definito “visionario”, avesse semplicemente scambiato una balena od un delfino (un cetaceo era stato avvistato in zona nei giorni precedenti) per un sommergibile, ed una breve perlustrazione con dei MAS, disposta a seguito della segnalazione, non portò a localizzare alcuna unità nemica. Nemmeno l’armatore Nicola Delfino credette al proprio equipaggio (recandosi da lui, gli uomini gli riferirono dell’accaduto ed aggiunsero «ci passa così e così. Noi non usciamo per questa settimana»), ritenendo anche lui che l’Onda avesse semplicemente incontrato uno squalo, ed arrabbiandosi con i propri uomini, che voleva tornassero a pescare.
(Secondo una versione, quando l’Onda tornò sul luogo dell’“incontro”, l’equipaggio recuperò le reti, che apparivano tranciate a tronchese e torchietto, ma nemmeno questo convinse della veridicità di quanto i pescatori avevano raccontato. Quest’ultimo particolare, tuttavia, non è chiaro: secondo una differente versione, l’Onda sarebbe stato affondato proprio perché uscito per recuperare le reti, dunque le reti non sarebbero state recuperate sino a dopo la sua perdita).
Salvatore Fois, tornando a casa e vedendo il figlio Nino indossare il suo, gli disse “Questo berretto, a momenti, l’avresti dovuto portare per tutta a vita!”, poi raccontò dell’incontro fatto al largo. Pietro Bancalà credeva che quello del sommergibile fosse stato un “avvertimento”, ed aveva paura, ma sapeva di dover tornare a pescare per sfamare gli otto figli.
Cinque giorni dopo l’Onda ricevette l’ordine di  tornare in mare a pescare: il comandante Sandolo avrebbe voluto restare in porto, temendo attacchi da parte di sommergibili, ma il locale comando militare marittimo costrinse l’equipaggio a prendere il mare, pena il deferimento per diserzione al Tribunale militare di Oristano.
Nino Fois, figlio di Salvatore, ricordò poi che l’equipaggio, che aveva chiesto di sbarcare a seguito dell’“incidente”, venne messo in fila sulla coperta dell’Onda, dopo di che fu chiesto “chi vuole sbarcare alzi la mano”; tutti alzarono la mano, ma la risposta fu “Come vi sono state tolte le stellette, così sarete messi sotto processo. Sarete denunciati al tribunale militare!”. I marinai si guardarono in faccia, poi il pratico di bordo Antonio Striani disse ai compagni, in dialetto, “Zi tocca a iscì, tanto da la morthi no si fuggi. Si zi dibbaschemmu, nostri figliori abarani a assè figliori di babbi fusiraddi a la ischina in Aristhàni. Si iscimmu a mari, nostri figliori abarani a assè figliori di babbi morthi trabagliendi cun onori” (cioè “Ci tocca uscire, intanto dalla morte non si fugge. Se ci sbarchiamo i nostri figli saranno figli di babbi fucilati alla schiena ad Oristano. Se usciamo a mare, nostri figli saranno figli di babbi morti lavorando con onore”), e tutti decisero che sarebbero rimasti a bordo.
La successiva uscita fu fatale alla piccola nave ed al suo sfortunato equipaggio. Il mattino del 6 maggio 1943 l’Onda lasciò di nuovo Porto Torres, con a bordo nove uomini al comando di Gennaro Sandolo, per pescare nel Golfo dell’Asinara. Il decimo membro dell’equipaggio, il macchinista Sergio Del Giudice, aveva invece ottenuto una settimana di permesso per rimanere vicino al figlio ammalato.
Alle 9.22 (ora del Safari, un’ora prima rispetto al fuso italiano) di quel mattino il sommergibile britannico Safari, al comando del tenente di vascello Richard Barklie Lakin, dopo aver avvistato alle 6.55 del fumo dalla direzione di Porto Torres ed essersi avvicinato per investigare, emerse a poppavia dell’Onda, intento a pescare a tre miglia per 60° da Punta Falcone (a sud dell’Asinara), ed aprì il fuoco con il cannone da 76 mm da una distanza di soli 550 metri. Il piccolo piropeschereccio, facile e vulnerabile bersaglio, venne crivellato di colpi: contro di esso il Safari sparò ben 46 salve con il cannone, ripartendole equamente sui due lati, e di queste 40 andarono a segno. Alle 9.33 (10.33 ora italiana) il relitto devastato dell’Onda affondò nel punto 40°58’ N e 08°20’ E, tre miglia ad ovest dell’Asinara.
Dodici minuti dopo il Safari, avendo avvistato un aereo ed essendo finito sotto il tiro delle batterie costiere (le cannonate sparate dal sommergibile erano state sentite fino a Porto Torres), s’immerse e si allontanò senza recuperare i naufraghi.
Solo i due fuochisti, il portotorrese Antonio Sanna e l’algherese Giovanni Sposito, si salvarono gettandosi in mare durante il breve lasso di tempo che passò mentre il Safari, finito di cannoneggiare un fianco della nave, l’aggirava per aprire il fuoco sul fianco opposto, e venendo successivamente recuperati. Il marinaio Ciro Valente, che nel cannoneggiamento aveva subito la recisione dell’arteria femorale, morì dissanguato in acqua.
Morirono sette uomini, tra cui il comandante Sandolo ed il capo pesca Michele Zeno.

Le vittime dell’Onda:

Emilio Acciaro, marinaio

Paolo Bancalà, marinaio

Salvatore Fois, marinaio

Gennaro (o Giuseppe) Sandolo, comandante, da Ponza

Antonio Striano (o Striani), pratico di bordo

Ciro Valente, marinaio

Michele Zeno (o Nole), capo pesca


L’affondamento dell’Onda nel giornale di bordo del Safari (da Uboat.net):

“0655 hours - Sighted smoke from the direction of Porto Torres. Closed to investigate.
0922 hours - Surfaced astern of a 300 tons steam trawler and engaged her with the 3" gun from 600 yards. 46 Rounds were fired for 40 hits.
0933 hours - The ship sank in position 40°58'N, 08°20'E.
0945 hours - Dived after sighting an aircraft and shore batteries had opened fire.”

Contrariamente a quanto sovente affermato, il Safari non era lo stesso sommergibile finito nelle reti dell’Onda qualche giorno prima: il Safari, infatti, era entrato nel golfo dell’Asinara solo il 6 maggio, il giorno stesso dell’affondamento dell’Onda (nei giorni precedenti il sommergibile aveva operato ad ovest dell’isola, dove il 2 maggio aveva affondato il piropeschereccio Sogliola), ed in ogni caso non menzionò di essere finito nelle reti di alcun peschereccio. Dalla documentazione britannica non risulta che nella zona, nei giorni in cui l’equipaggio dell’Onda aveva riferito di aver trovato un sommergibile nelle proprie reti, si trovassero altri sommergibili della Royal Navy. L’episodio del sommergibile nelle reti rimane quindi piuttosto oscuro.

Oltre a precipitare le famiglie delle vittime nella disperazione, la tragedia ebbe per loro gravi risvolti anche sul piano pratico, lasciandole prive degli uomini che andavano per mare a guadagnare il pane per la famiglia. La loro situazione d’indigenza, aggravata dalle restrizioni della guerra, divenne tale che alcuni familiari non poterono nemmeno permettersi di comprare i vestiti neri – che non avevano – per il lutto.
L’Onda rimase sui fondali del golfo dell’Asinara per più di quattro anni, poi, nel luglio del 1947, il relitto del piropeschereccio venne riportato a galla e portato al molo della Teleferica a Porto Torres; ad attenderlo c’era una grande folla, in molti conoscevano i pescatori uccisi, e la tragedia era stata molto sentita dalla comunità portotorrese. A bordo furono trovati gli scheletri di quattro delle vittime, che poterono finalmente ricevere sepoltura. I corpi di Ciro Valente ed Antonio Striani, invece, furono gli unici a non essere mai più ritrovati. Dopo lunghe riparazioni, nel 1954 (o 1955) la piccola nave tornò a navigare sempre per conto di Nicola Delfino, con il nome modificato di Onda Delfino. Il peschereccio navigò per l’armatore Delfino sino al 1965 (fu cancellato dal Registro Navale Italiano dopo il maggio 1965), poi, dopo essere affondato una seconda volta a seguito di un fortunale, venne demolito in Grecia nel 1978.

Il relitto dell’Onda dopo il recupero (da notizie.portotorres24.it) 

Nel maggio 2014 il 71° anniversario dell’affondamento dell’Onda è stato commemorato con una cerimonia cui hanno partecipato sei barche (messe a disposizione da piloti, ormeggiatori ed Assovela) con oltre 50 persone. Le imbarcazioni hanno raggiunto il punto della tragedia, a circa otto miglia da Porto Torres (40°58’ N e 08°20’ E), dove sono stati letti i nomi dei caduti (cui gli astanti hanno risposto ogni volta “Presente”) e, dopo la recitazione del Padre Nostro e della Preghiera del Marinaio ed un fischio in onore delle vittime, due figlie dei caduti hanno lanciato in mare una corona d’alloro, benedetta da Don Salvatore Ruiu. La corona è stata lanciata in mare alle 10.33, ora dell’affondamento del peschereccio. La cerimonia si è conclusa con il suono del silenzio.

Agli inizi dello stesso anno è stato pubblicato anche un libro riguardante la triste vicenda, “L’affondamento del peschereccio Onda”.

Sempre nel 2014 la piazza Renaredda a Porto Torres, antistante il mare dove avvenne la tragedia, è stata intitolata ai Caduti dell’Onda.


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