lunedì 13 gennaio 2014

Eridania


La nave nel 1936, quando portava il nome di Palestina, in servizio per il Lloyd Triestino (g.c. Dante Flore, tratta dal libro "Il Lloyd Triestino 1836-1936" di Giuseppe Stefani e Bruno Astori, Officine grafiche A. Mondadori, 1938). 

Piroscafo passeggeri da 7095 tsl, costruito nel 1913-1915, di proprietà del Lloyd Triestino. Ex Palestina, Amazzonia, Aquileia, Innsbruck.

La nave nella sua originaria conformazione a due fumaioli, con il nome di Innsbruck (foto tratta da http://www.atrieste.eu/Wiki/doku.php?id=navi_del_lloyd:1888-1918 con licenza Creative Commons con gli attributi di “Attribution”, “Noncommercial” e “Share Alike”)

Breve e parziale cronologia.
5 agosto 1913
Impostazione nel Cantiere San Rocco di Muggia, Stabilimento Tecnico Triestino/Austria Werft (numero di cantiere 28).

9 maggio 1914

Varo nel Cantiere San Rocco di Muggia, Stabilimento Tecnico Triestino/Austria Werft.

6 ottobre 1915
Completamento come piroscafo passeggeri a due eliche Innsbruck per il Lloyd Austriaco di Trieste. Stazza lorda 7077 tsl, portata lorda 5870 tpl, velocità 12 nodi, lunghezza 121,34 m, larghezza 15,6 m, pescaggio 7,59 m, in grado di trasportare 179 passeggeri.
1919
In seguito alla dissoluzione dell’Impero Austroungarico ed al passaggio di Trieste all’Italia, il Lloyd Austriaco diviene Lloyd Triestino, e l’Innsbruck passa sotto controllo interalleato, restando in gestione al Lloyd Triestino.
1921
La nave, ormai italiana, viene ribattezzata Aquileia. In seguito a grandi lavori di modifica il profilo originario viene modificato, con l’eliminazione di uno dei due fumaioli inizialmente presenti (quello poppiero, presente solo a scopi estetici).

L’Aquileia negli anni Venti (g.c. Mauro Millefiorini)


1923

Noleggiato e poi trasferito al Lloyd Sabaudo – Società di Navigazione Marittima Italiana di Genova. (Per altra fonte dal 1924).

1932
Torna al Lloyd Triestino, divenuto Flotte Riunite Lloyd Triestino, Marittima Italiana, Sitmar (per altra fonte questo avviene nel 1931).
1933
Ribattezzato Amazzonia e noleggiato alla Cosulich Società Triestina di Navigazione.
1934

Ribattezzato Palestina (per altre fonti il cambio di nome avviene nel 1935). Negli anni successivi viene impiegato anche sulle linee per l’Africa Orientale Italiana, trasportando i nuovi coloni diretti nell’Etiopia appena conquistata (e nel gennaio 1939 trasporterà anche Curzio Malaparte, diretto a Massaua per intraprendere un viaggio nell’interno dell’Etiopia).


Il Palestina con la nuova livrea del Lloyd Triestino, scafo bianco con striscia azzurra e fumaiolo giallo oro, in una cartolina del 1935 edita da “Pizzi e Pizio” di Milano (g.c. Giuseppe Boato via www.naviearmatori.net)


1937
Trasferito alla Adriatica Società Anonima di Navigazione di Venezia (per altra fonte il trasferimento avviene nel 1936) ed impiegato sulla linea celere n. 55 Adriatico-Cipro-Palestina, sulla linea n. 51 Venezia-Brindisi-Pireo-Rodi-Alessandria d’Egitto ed infine sulla n. 50 Trieste-Fiume-Rodi-Alessandria. Iscritto con matricola 301 al Compartimento Marittimo di Venezia.
I dati del Palestina risultano essere: 7039 tsl, lungo 125,3 m, largo 16,19 m, pescaggio 7,56 m (7,95 a pieno carico), capienza 394 passeggeri.


Il Palestina in partenza da Trieste con la livrea della compagnia Adriatica (g.c. Mauro Millefiorini).
 
13 gennaio-10 marzo 1939
Temporaneamente noleggiato dal Lloyd Triestino (è di questo periodo il viaggio di Malaparte da Napoli a Massaua sul Palestina).
1939
Tornato all’Adriatica, viene rimodernato e poi nuovamente impiegato sulla linea n. 55. Nuovi dati: lunghezza 132 m, larghezza 16,5 m, velocità massima 13 nodi, 7039 tsl e 4085 tsn, portata lorda 5240 tonnellate più 406 passeggeri.
1940
Durante il periodo della “non belligeranza” italiana si verifica l’episodio del sequestro, a Venezia, di 203 balle di lana (inviate da Durban al Lanificio Marzotto) trasportate dal Palestina con certificato “Navicert” (rilasciato dalle autorità britanniche per certificare che il carico di una nave neutrale non era di contrabbando e non doveva pertanto essere sottoposto a sequestro).
25 settembre 1940
Di nuovo al Lloyd Triestino (dal 1941 “Oriens – Linee Triestine per l’Oriente”), ribattezzato Eridania.
8 luglio 1941
Requisito dalla Regia Marina a Trieste.
2 settembre 1941
Derequisito dalla Regia Marina.
22 dicembre 1941
Requisito dalla Regia Marina a Trieste. Pur senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, l’Eridania viene armato con due mitragliere ed impiegato a Pola, nei due anni successivi, come nave caserma e dormitorio per gli equipaggi dei sommergibili dislocati nella locale Scuola Sommergibilisti, al ritorno dalle missioni.
8 settembre 1943
Annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’Eridania viene derequisito (mera formalità postuma). 

Armistizio ed affondamento


Il Palestina i colori del Lloyd Triestino (foto tratta da http://www.atrieste.eu/Wiki/doku.php?id=navi_del_lloyd:1888-1918 con licenza Creative Commons con gli attributi di “Attribution”, “Noncommercial” e “Share Alike”)



Il 9 settembre 1943, in seguito all’armistizio, l’Eridania imbarcò a Pola centinaia di uomini, principalmente marinai e soldati sbandati delle forze armate italiane, tra cui parte del personale della Scuola Sommergibilisti di Pola. Tutti gli allievi e gli ufficiali della Scuola Sommergibilisti, all’alba del 9 settembre, avevano ricevuto dal comando della Scuola l’ordine di imbarcarsi con ordine sull’Eridania con i propri bagagli, per partire il giorno stesso; l’imbarco venne effettuato in mezzo a grande confusione, e nel pomeriggio tutti gli ufficiali della Scuola Sommergibili, insieme ad un gran numero di marinai e soldati, erano a bordo, sulla coperta del piroscafo, che sarebbe presto partito per sfuggire alla cattura da parte delle forze tedesche. (Secondo altra versione venne invece lasciata libertà di scelta: chi avesse voluto raggiungere il Sud in mano agli Alleati sarebbe dovuto salire sull’Eridania, mentre chi avesse voluto andarsene per conto proprio o restare, in mancanza di ordini e di notizie su chi fossero adesso amici e nemici, avrebbe potuto farlo). Sull’Eridania salirono in tutto circa 1200 uomini, principalmente personale ed allievi della Scuola Sommergibili (retta temporaneamente dal comandante in seconda capitano di corvetta Mario Vannutelli, in assenza del comandante titolare) e della Scuola CREM di Pola (comandata dal capitano di vascello Alberto Parmigiano; un testo dell’USMM parla di “Scuola Motoristi Navali” sebbene la Scuola CREM di Pola non addestrasse solo motoristi), compresi molti ufficiali ed aspiranti ufficiali del Genio Navale. Secondo l’allievo silurista Paolo Cardile, sull’Eridania salirono tutti gli allievi ed il comando della Scuola Sommergibili ed anche i parenti di questi ultimi.
Intorno alle 18 iniziarono a passare davanti all’Eridania tutte le navi da guerra presenti a Pola e che salpavano per consegnarsi agli Alleati, tra cui le navi scuola Amerigo Vespucci, Cristoforo Colombo e Palinuro, la corazzata Giulio Cesare, l’incrociatore leggero Pompeo Magno, la vecchia nave scorta Insidioso, le corvette Urania e Baionetta.
Solo poco prima di mezzanotte anche l’Eridania iniziò le manovre di disormeggio, ma il vecchio piroscafo, dopo due anni di immobilità, impiegò ben due ore ad uscire dal porto, con lentezza esasperante. Scortato dalla torpediniera Sagittario ed accompagnato anche da quattro sommergibili (probabilmente il Serpente, il Goffredo Mameli ed il Vettor Pisani, che effettivamente erano a Pola – assegnati alla Scuola Sommergibili per l’addestramento – e da lì partirono diretti a Taranto, e forse anche il Fratelli Bandiera), l’Eridania procedeva ad appena cinque nodi, così che il mattino successivo, all’alba, erano rimasti solo l’Eridania ed la Sagittario di scorta ad esso, mentre i sommergibili, avendo velocità maggiore, erano proseguiti ed erano spariti.
Il piroscafo era diretto a Sebenico. Secondo una versione l’Eridania, partito da Pola, avrebbe dovuto recuperare il personale della Regia Marina ed alti ufficiali del Regio Esercito da Sebenico ed altre località della Dalmazia.
Il mattino stesso del 10 settembre la Sagittario comunicò che aveva ricevuto ordine di rientrare a Pola, perciò invertì la rotta lasciando proseguire da solo il vecchio piroscafo. L’Eridania, mentre navigava costeggiando le isole della Dalmazia, venne raggiunto via radio dalla notizia dell’affondamento della corazzata Roma ad opera di aerei tedeschi, che aumentò i dubbi ed i timori sul futuro. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno il piroscafo incontrò un’unità italiana (Paolo Cardile lo indicò nel suo racconto come “cacciatorpediniere A18”, ma la Regia Marina non faceva uso di sigle alfanumeriche: è possibile che fosse la nave scorta Insidioso dalla sigla “IS” forse confondibile con “18”, oppure una delle vecchie torpediniere ex jugoslave della classe “T”, od un’altra nave): l’incontro con una nave battente bandiera italiana, la prima da quando la Sagittario si era allontanata, risollevò gli animi dei passeggeri dell’Eridania, che alzarono a loro volta la bandiera italiana, e la nave invertì la rotta. Poco dopo il piroscafo, dopo essere stato sorvolato da un ricognitore tedesco, raggiunse Sebenico (erano le nove di sera del 10 settembre), dove si rifornì di nafta e di farina (in quantità piuttosto scarsa) e, nottetempo, imbarcò dei civili, donne e bambini. Il comandante di Marina Sebenico informò che le forze tedesche stavano avanzando verso la città ed erano poco lontane, pertanto, alle sei del mattino dell’11 settembre, l’Eridania ripartì diretto ad Ancona, mentre a bordo correvano discussioni ed ipotesi sulla destinazione finale: Malta, Brindisi, Taranto, semplicemente il sud in mano italiana od alleata. Il comandante del piroscafo sembrava avere ormai poca autorità, nella confusione generale post-armistiziale. Ritenendo il carburante insufficiente a raggiungere direttamente Bari, rimasta in mano italiana, il comandante aveva deciso di navigare verso nord nei canali della Dalmazia, e poi raggiungere Ancona.
Intorno alle 11.30 un ricognitore tedesco (forse lo stesso della sera precedente) avvistò l’Eridania, e verso mezzogiorno sopraggiunsero tre bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 “Stuka”, che dapprima attaccarono ed affondarono una piccola motonave (o motoscafo) gremita di persone (tra cui, a detta di Paolo Cardile, lo stato maggiore del Comando Marina di Sebenico, ma di questo non si trova riscontro ed è più probabile che lo stato maggiore di Marina Sebenico fosse stato catturato dalle truppe tedesche), che, partita da Sebenico contemporaneamente all’Eridania, si trovava circa trecento metri sulla sinistra del piroscafo. Dopo aver affondato quest’unità sotto gli occhi dei passeggeri dell’Eridania, gli “Stuka” sorvolarono il piroscafo e sganciarono altre bombe, a mo’ di avvertimento, che caddero a prua ed a poppa dell’Eridania, che si fermò (secondo Dimmo Baldassini, marinaio mitragliere, la nave venne anche mitragliata). I passeggeri erano saliti tutti in coperta e si spostavano da un lato all’altro per vedere cosa facessero gli aerei, minacciando la stabilità della nave. Non avendo la nave altro armamento che due mitragliere, e poche speranze di poter reagire, il comandante ne comunicò la resa. Sorvegliata dagli “Stuka”, la nave fu costretta ad invertire la rotta dirigendo inizialmente su Sebenico, e, scortata dagli aerei (secondo Paolo Cardile gli “Stukas” erano quattro e tre di loro, dopo la resa, se ne andarono, mentre l’altro rimase sulla verticale dell’Eridania indicando la rotta da seguire), venne poi obbligata a cambiare rotta ed entrare, alle tre del pomeriggio, nel porto di Zara, occupato dai tedeschi. (Secondo “Navi mercantili perdute” dell’USMM la nave fu dirottata su Zara dagli Stukas nel pomeriggio del 13 settembre e catturato il 15 settembre, ma queste date sono smentite da quelle, più precise, riportate dal testo sulle vicende post-armistiziali edito dallo stesso USMM).
Qui sostò sino al 13 settembre (a Zara salirono a bordo circa 200 profughi civili, sia uomini che donne), poi, il 14 mattina, la nave, su ordine dei tedeschi, ricevette l’ordine di ripartire per Fiume, dove giunse nel pomeriggio alle 17.30. Chieste informazioni agli abitanti, venne appreso che la città non era ancora stata occupata dalle forze tedesche.
Alle 11.30 dell’indomani ebbe inizio un attacco sul porto da parte di un singolo aereo (in effetti aerei tedeschi bombardarono il porto di Fiume, senza colpire l’Eridania, sia il 15 che il 16): alcune bombe caddero vicine alla nave, e gran parte degli occupanti scese a terra, intasando l’unica passerella, calandosi direttamente sul molo – la nave era già attraccata – lungo delle corde (come Paolo Cardile), o saltando direttamente in mare; alcuni dei militari italiani ne approfittarono per fuggire e far perdere le proprie tracce (secondo Dimmo Baldassini, nella situazione di generale confusione, le truppe tedesche, quando l’Eridania arrivò a Fiume, pensarono trattarsi di una nave che stava effettuando uno sbarco e la mitragliarono, così che molti la abbandonarono precipitosamente; ma in realtà le forze tedesche non erano ancora entrate a Fiume e si tratta probabilmente di un ricordo erroneo), avendo anche modo di tornare a bordo, il 15 settembre, per recuperare i propri bagagli. La sera del 16 settembre le forze tedesche, entrate a Fiume, presero possesso del piroscafo e dichiararono prigionieri tutti quelli che vi si trovavano a bordo. Frattanto molti di quanti erano scesi a terra, non sapendo cosa fare e dove andare, erano finiti con il tornare a bordo dell’Eridania (anche perché le truppe tedesche avevano mandato mezzi in giro per la città per richiamare a bordo della nave, con il megafono, i militari italiani), che il mattino del 18 ripartì per Venezia con una scorta armata a bordo (secondo Dimmo Baldassini i militari tedeschi erano già saliti a Zara, ma si tratta probabilmente di un errore). Prima della partenza da Fiume i militari, che non mangiavano da due giorni, ricevettero ciascuno una gamella di riso, poi fu loro ordinato di reimbarcarsi. I soldati tedeschi ordinarono anche la consegna delle armi, pena, in caso contrario, la fucilazione; tutti gli ufficiali dovettero consegnare le proprie spade. Qualcuno, come Dimmo Baldassini, preferì gettare in acqua le proprie armi piuttosto che consegnarle.
Prima di dirigere su Venezia, l’Eridania raggiunse Pola, dove imbarcò circa 500 soldati sbandati del Regio Esercito (i militari italiani catturati a bordo erano quasi tutti della Regia Marina). Con a bordo ormai più di 2000 persone, l’Eridania ripartì per Venezia il 19 settembre, arrivandovi alle 15 dello stesso giorno, e da alcune barche che raggiunsero la nave e si portarono sottobordo i militari a bordo appresero che sarebbero stati deportati in Germania. I militari tedeschi, da terra, tenevano la nave sotto sorveglianza, aprendo il fuoco ad ogni movimento sospetto. Solo i civili vennero lasciati scendere a terra, sorvegliati da soldati tedeschi che controllavano che tra di essi non vi fosse qualche militare travestitosi per scappare (Dimmo Baldassini tentò questo espediente, ma fu riconosciuto a causa delle scarpe, e rimandato a bordo). Il mattino del giorno seguente salì a bordo una ragazza che annotò i nominativi ed indirizzi dei militari per comunicare alle famiglie della deportazione in Germania, e nel pomeriggio i 2000 soldati e marinai italiani vennero fatti sbarcare e caricati su carri bestiame, venendo quindi avviati per ferrovia alla prigionia in Germania.
Non è molto chiaro cosa sia accaduto tra il 19 settembre ed il 7 ottobre 1943. Un superstite, Mario Cascone, ha descritto la vicenda come se l’Eridania fosse stato affondato (dal sommergibile Sokol) all’arrivo a Pola, pochi giorni dopo la cattura, mentre la nave si apprestava ad ormeggiarsi, senza fare menzione dell’arrivo a Venezia. Non è chiaro, del resto, come sia possibile che Cascone, se fosse salito sull’Eridania il 9 settembre 1943, fosse ancora a bordo il 7 ottobre senza essere stato sbarcato ed avviato alla prigionia come accadde agli altri militari italiani (che secondo il suo racconto sarebbero stati ancora a bordo al momento dell’affondamento); una possibilità è che Cascone ricordasse male la sequenza degli eventi, o che avesse confuso l’attacco aereo che, secondo varie altre testimonianze, a Fiume veva causato l’abbandono precipitoso della nave da parte di molti, per il suo affondamento, e che magari, in seguito, abbia creduto che questo episodio fosse il siluramento da parte del Sokol, magari influenzato dalle notizie successivamente apprese sull’affondamento della nave a poca distanza di tempo.
Secondo qualche fonte, l’Eridania sarebbe stato impiegato dalle forze tedesche per trasportare da Pola e Fiume a Venezia i prigionieri italiani catturati nell’area (ma non è chiaro se ci si riferisca a quanto accaduto tra il 9 ed il 18 settembre 1943, o magari ad altri viaggi compiuti dal piroscafo, sotto controllo tedesco, tra il 18 settembre ed il 7 ottobre, per trasportare a Venezia altri prigionieri). Secondo tale versione l’Eridania sarebbe tornato a Pola, dove avrebbe imbarcato altri marinai e soldati italiani che furono costretti a firmare che dopo l’arrivo a Venezia sarebbero andati nei campi di lavoro in Germania, e fu silurato dal Sokol subito dopo essere ripartita da Pola ed avere lasciato il porto. Un’altra possibilità, forse la più probabile, è che la cattura ed il trasporto dei prigionieri (9-18 settembre 1943) e l’affondamento ad opera del Sokol (7 ottobre) siano stati erroneamente accavallati, e che in realtà la nave, al momento del siluramento, non trasportasse prigionieri.
In ogni caso, alle 7.10 (o 7.40) del 7 ottobre 1943 l’Eridania, forse con a bordo militari italiani catturati e sotto sorveglianza tedesca oppure, secondo altra versione, con a bordo anche un carico di munizioni, venne silurato dal sommergibile polacco Sokol, al comando del Kapitan Marynarki (tenente di vascello) Jerzy Koziolkowski (che gli lanciò tre degli ultimi quattro siluri rimasti) ed affondò in posizione 44°48’ N e 13°52’ E, davanti a Veruda, vicino al porto di Pola (od al largo di Capo Promontore). L’Eridania, con le sue 7095 tsl, divenne così la più grande nave affondata da un’unità della piccola Marina polacca durante la seconda guerra mondiale. Alcuni superstiti, come il marinaio silurista Mario Cascone del sommergibile Fratelli Bandiera (che si era imbarcato sull’Eridania con un commilitone del Bandiera per tornare al sud all’indomani dell’armistizio), parlarono di un grande numero di vittime: Mario Cascone parlò di centinaia di morti, soprattutto soldati che non sapevano nuotare, mentre lui ed il compagno riuscirono a raggiungere la riva. Un articolo di Ivo Vidotto sul quotidiano fiumano “La Voce del Popolo” del 14 novembre 2011, nel raccontare della storia dell’Eridania, afferma anch’esso che non meglio precisate testimonianze di superstiti parlavano di centinaia di vittime, ma che negli archivi non ve ne era traccia.
In realtà, secondo i dati dell’Ufficio Storico della Marina Militare, gentilmente trasmessi da Platon Alexiades, risulta che nell’affondamento dell’Eridania trovarono nella morte dodici persone: otto italiani membri dell’equipaggio, tre militari tedeschi, ed un bambino. (Il fatto che tra i morti vi siano membri dell’equipaggio e soldati tedeschi, e nessun militare italiano, sembrerebbe rafforzare l’ipotesi per cui l’Eridania non trasportasse prigionieri al momento dell’affondamento).

Tra di essi vi furono:

Giovanni Bolobicchio, dispensiere (membro dell’equipaggio, da Rovigno, figlio di Nicolò Bolobicchio), disperso
Giovanni Meacco, membro dell’equipaggio (da Muggia, figlio di Giovanni Meacco), deceduto
Silvano Pesteli, membro dell’equipaggio (da Trieste, figlio di Luigi Pesteli), disperso
Nicolò Triscoli, membro dell’equipaggio (da Orsera, figlio di Antonio Triscoli), disperso
Paolo Wittes-Viti, membro dell’equipaggio (da Trieste, figlio di Michele Wittes-Viti), deceduto

Un altro membro dell'equipaggio dell'Eridania, il marinaio Renato Marcolin, morì in prigionia il 4 marzo 1945.

Il Palestina con i colori dell’Adriatica, intorno al 1936 (foto tratta da http://www.naviearmatori.net/ita/foto-163543-1.html per g.c. dell’utente mario_from_genoa)
 

Il racconto del marinaio Mario Cascone del sommergibile Fratelli Bandiera (per g.c. di Antonio Cimmino):

“Il giorno dopo [l’armistizio] ci convocò l’ufficiale in seconda e ci disse che il comandante del Bandiera era irreperibile da tre giorni, forse già era a conoscenza dell’armistizio firmato qualche giorno prima a Cassibile. Ci disse che aveva, inutilmente, cercato di mettersi in contatto con Supermarina di Roma per avere ordini. Non sapendo rispondere alle nostre domande,  disse: "Ragazzi, non so cosa dirvi, ognuno faccia quello che meglio crede". Era un esplicito invito a ritornare a casa. Io ed un mio amico di nome Pinuccio, figlio del proprietario di un piccolo cantiere navale di Palermo, preso i nostri bagagli, ci imbarcammo sul piroscafo passeggeri Eridania, una nave requisita che, ci dissero, doveva portare a Brindisi, ove si era rifugiato il re, e tutti i militari sbandati. Mentre la nave faceva rotta per il Sud, il pomeriggio del 13 settembre, sotto la minaccia di tre veivoli Stuka tedeschi, fu costretta a dirigersi prima a Sebenico e poi nel porto di Zara. Catturata dai tedeschi il 15 settembre che la spogliarono di ogni materiale bellico o di guerra che poteva loro servire, le fecero fare la spola tra Fiume, Pola e Venezia. A bordo, con migliaia di altri marinai e soldati, eravamo alla mercé dei tedeschi diventati, ormai, nostri acerrimi nemici. Finalmente la nave attraccò al porto di Pola, nelle acque di Veruda, ma il 7 ottobre fu silurata dal sommergibile polacco Sokol. Affondata, la nave portò in fondo al mare centinaia di persone, principalmente soldati che non sapevano nuotare. Fortunatamente io e Pinuccio ci salvammo e riuscimmo a guadagnare la riva.”

Il Palestina a Dar es Salaam negli anni ’30 (g.c. Mauro Millefiorini)




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